Isadora Duncan
Anni e anni alla sbarra, ore e ore di sudore, prove e riprove, piedi doloranti,
scaldamuscoli e scoramento, pece e tenacia, miti alati e specchi impietosi,
confronti persi, umiltà e improbabili cigni bianchi. Ogni giorno un bicchierino
di veleno e un anelito di meraviglioso, cibo per la mente, per il corpo dieta
ferrea e bulimia latente. La disciplina dell’arte non è per pochi eletti.
E poi di nuovo prove e riprove, sbarra, sudore, il prosaico quotidiano votato a
quei pochi minuti di meraviglioso in teatro. Diventare non il miglior ballerino
del mondo ma il miglior ballerino possibile, per non smettere mai di
ballare.
E poi anni di amore, difficile, insaziabile, esigente. No allo stillicidio
conformista, no alla complicità in pantofole, no al litigio civile, no al
dialogo corretto, no alle maschere, no alla vacanza da cartolina, no
all’Itaglia, no alla patria, no all’al di là, no a mi faccio il
mio, no al pregiudizio, no al razzismo. Navigare insieme in mare aperto, cibo
per la mente, per il corpo no a nutrirsi di creature senzienti non umane.
E dunque anni e anni in bianco e nero, sotto forma di interminabili tornei,
torri di libri, riviste, diagrammi, scartafacci, scacchiere tascabili e
regolamentari, artistiche e rurali, di plastica, di legno, di vetro, e persino
di marzapane, fino alla comprensione, fino al godimento estetico.
Io, così insofferente all’immobilità, seduta per ore su una sedia,
fuorigioco in contemplazione di coreografie cruente, drammi, tragedie,
operette, poesie, a seconda dei protagonisti, irriducibili nel ritentare una
vittoria e deglutire una sconfitta. Flessibili, devoti, curiosi, onnivori
monomaniaci dell’astratto.
Come ignorare i nuovi territori che una geniale intuizione ha dischiuso ai
vostri viaggi? Come non condurre la vostra Regina in novecentosessanta nuove
danze?
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