Thursday, May 29, 2014

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Robert James Fischer

Scacco matto all’impero

L’ex campione del mondo Bobby Fischer è di nuovo libero
Il ritorno Dopo otto mesi nelle prigioni giapponesi, Bobby Fisher sfugge alla “vendetta” USA ottenendo la cittadinanza islandese

Pio d’Emilia, “Scacco matto all’impero”, il manifesto, 24 marzo 2005

TOKYO – Libero. Ci ha messo 8 mesi, stavolta, per dare scacco matto. Ma alla fine ce l’ha fatta. E con l’ultima mossa ha battuto, in un sol colpo, Stati Uniti e Giappone. Grazie all’aiuto di un parlamento coraggioso (quello islandese, che gli ha concesso la cittadinanza) e di un pugno di supporters che hanno sposato sin dal primo giorno la sua causa, aiutandolo anche contro la sua volontà, e nonostante, con il suo comportamento e le sue provocazioni urbi et orbi, abbia reso le cose sempre più difficili, Robert “Bobby” James Fischer, il genio degli scacchi, è di nuovo libero e arriverà stasera, salvo colpi di scena durante lo scalo a Copenhagen, a Reykjavík, in Islanda. Dove sarà ricevuto con tutti gli onori, come un eroe. Era dallo scorso 13 luglio che Fischer era trattenuto, contro la sua volontà e in fragrante violazione di ogni legalità, in un centro di deportazione nei pressi di Tokyo. Assieme ai “clandestini” accusati di entrare illegalmente in Giappone o sorpresi senza permesso di soggiorno. In questo centro, isolato e situato nei pressi della centrale nucleare di Tokaimura (fatto che ha ulteriormente stressato l’ex campione di scacchi, terrorizzato dalla possibilità di essere contaminato), Fischer è stato tenuto in assoluto isolamento, con quindici minuti di aria al giorno e la luce accesa 24 ore su 24, per quasi 8 mesi. In un paio di occasioni, in seguito alle sue proteste per il cibo scarso e di scarsa qualità, è stato picchiato dalle guardie. Ma ha anche ricevuto centinaia di visite da parte di vecchi amici venuti apposta da ogni parte del mondo (sembra che persino il suo acerrimo nemico Spassky l’abbia cercato al telefono, per concordare una visita, peraltro rifiutata da Fischer : “non ho voglia di rivederlo: poi magari mi chiede di rifare una partita e francamente non ne ho nessuna voglia”), e da parte di cittadini giapponesi attirati dalla sua fama.
“La visita più commovente è stata quella di un vecchio scacchista – ci ha detto Fischer – nel fogliettino distribuito all’ingresso, come motivo della visita ha indicato il desiderio di farsi una partita. Io non gioco da anni a scacchi, ma per lui l’avrei fatto. Solo che questi stronzi non mi hanno dato la scacchiera...”. In compenso sembra che una guardia, fuori servizio, si sia persino azzardata a chiedergli un autografo!
Otto mesi. Poi, dopo una serie scoppiettante di mosse, in parte concepite – spesso alla sua insaputa – dal comitato per la sua liberazione (presieduto da un giornalista serbo che lavora a Tokyo, John Bosnitch), in parte dettate direttamente ai suoi avvocati, la soluzione. Legalmente ineccepibile (a differenza della sua detenzione, decisamente illegale). Fischer, al quale le autorità Usa hanno revocato e fisicamente sottratto il passaporto (un atto senza precedenti: un funzionario dell’ambasciata USA a Tokyo, tale “Peter” è entrato nella sala dove Fischer era detenuto, gli ha chiesto il passaporto e, davanti a tutti, l’ha stracciato) , è un cittadino straniero senza titolo di viaggio e come tale va deportato.
La legge prevede che venga deportato nel suo paese di origine, a meno che il soggetto non adduca seri motivi e indichi un altro paese, che dia il suo assenso preventivo alla sua accoglienza. Questo paese, che fino a poche settimane fa poteva essere la Germania (il padre di Fischer è tedesco), è diventata l’Islanda. L&squo;ambasciatore in persona, due giorni fa, ha consegnato nelle mani degli avvocati di Fischer il suo nuovo passaporto, nuovo di zecca. La pressione sul governo giapponese è diventata insostenibile, soprattutto dopo che anche la stampa locale ha cominciato (dopo 8 mesi!!!) a occuparsi del caso e che alcuni deputati dell’opposizione hanno effettuato delle interrogazioni parlamentari.
Un ultimo riscontro con gli Stati Uniti, per verificare se il mandato di cattura per evasione fiscale potesse essere pronto entro poche ore e poi la decisione finale di arrendersi. Bobby non finirà i suoi giorni un carcere americano, ma tra i “caldi geli” dell’Islanda, come ha commentato ieri un raggiante John Bosnitch. Raggiunto ieri sera per telefono, nel carcere dove l’avevamo incontrato qualche settimana fa, Fischer ha così commentato la notizia: “Era ora. Onore ai vichinghi, e vergogna ai giapponesi. Li pensavo più coraggiosi... invece non sono che degli ebrei gialli”. Il solito, paradossale, ritornello antisemita cui Fischer, ebreo per nascita, ricorre in modo oramai maniacale, e che – secondo molti – è alla radice dell’accanimento con il quale gli Stati Uniti l’hanno inseguito per dieci anni in tutto il mondo.
Non tanto, forse, per aver violato l’embargo e aver giocato la famosa rivincita contro Boris Spassky a Sarajevo, nel 1992, su invito di Milošević, ma per il suo persistente, forsennato atteggiamento di sfida e di disprezzo per la Patria. Per accedere al desiderio di rivalsa degli Stati Uniti, l’Impero del Sol Levante si è infilato in un corridoio sempre più stretto, sino a diventare impercorribile, di mosse astruse e illegali, dove cavalli, torri e pedine non rispondevano più alle regole, ma si muovevano in modo disordinato, senza alcuna certezza. Chiunque altro ci avrebbe rimesso le penne. Fischer no. Alla fine, l’ha spuntata di nuovo lui.

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